“Venere Spaziale”- L’immagine della dea della bellezza.

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Venerdì, 17. Maggio 2019

“Il mio lavoro è il riflesso, uno degli innumerevoli riflessi di ciò che realizzo, scrivo, penso”.

Salvador Dalí

Venere, in latino Venus, Venĕris, è la dea romana dell’amore e della bellezza ed ha la sua equivalente dea greca Afrodite, nata dalla schiuma delle acque dell’isola di Cipro (aphròs in greco significa schiuma). La sua figura, presa a modello come ideale di bellezza fin dall’antichità, è divenuta il soggetto di numerose opere d'arte, espresse sia sotto forma scultorea, come ad esempio la “Venere di Milo” (130 a.C.), sia sotto forma pittorica, come nella famosa “La Nascita di Venere” di Botticelli (c.a. 1482-1485).

La Venere ispirò molti artisti e continua ad ispirare ancora oggi. Nel 1936 l’artista statunitense Man Ray realizzò l’opera “Venus Restaurée” modellata come la celebre “Venere de’ Medici” ellenica. Nello stesso anno Salvador Dalí realizzò la sua “Venere di Milo con cassetti” in bronzo dipinto di bianco. Durante la fiera Art New York (Pier 94), presentata da Art Miami a maggio 2019, la Blue Gallery di Delray Beach (Florida) ha esposto alcune opere dello scultore israeliano Niso Maman, famoso come uno dei leader del movimento classico moderno, che illustravano un torso di donna in acciaio e metallo colorato, modellato come la Venere classica.

Nella scultura “Venere Spaziale” Salvador Dalí ha voluto rendere omaggio alla figura femminile ed all’attrazione per la bellezza femminile, aggiungendo i suoi elementi surreali preferiti. Alla base di quest’opera vi è un busto femminile, rappresentato secondo i canoni del classicismo, al quale vengono accorpati quattro simboli daliniani: un orologio molle, due formiche, un uovo e la scomposizione del corpo in due parti.

L’orologio…

scivola sul collo per offrirci i suoi messaggi opposti. La sua presenza simboleggia, da una parte la bellezza della carne come temporanea e destinata a svanire, dall’altra la bellezza dell’arte quale la sola ad essere eterna, priva dei vincoli del tempo. Il caratteristico simbolo daliniano del tempo è uno tra i protagonisti di questa scultura. Alla domanda “Perché gli orologi daliniani sono molli?” Dalí rispose: “Molli o duri non ha importanza. L’importante è che segnino l’ora esatta”.

In questa scultura le lancette dell'orologio indicano i numeri dodici e sei. È interessante notare che tutti gli orologi di Dalí, facenti parte della Collezione Dalí Universe di sculture, riportano le lancette nella medesima posizione. Sull’orologio della scultura “Venere Spaziale” mancano i numeri cinque ed undici. Con questa assenza, Dalí ha voluto, forse, comunicare la sua data di nascita?

L’orologio che scivola sul collo della dea della bellezza ci mostra la straordinaria capacità di Dalí di trasferire una semplice azione, apparentemente involontaria, come quella di far scivolare sul corpo una goccia di un liquido, nel suo mondo surreale artistico. Per Dalí questa azione era in grado di generare un “piacere segreto” ed era fonte di “emozioni e pensieri filosofici”, come affermò lui stesso.

La vita di Dalí è fitta di tali “densi miscugli di casualità e deliranti stranezze” che l’artista catalano portò successivamente nella sua arte pittorica e scultorea. Durante la sua infanzia Dalí adorava sorprendersi (e sorprendere) nel versarsi sulla pelle il caffelatte ed osservare il lento gocciolare del liquido che, a poco a poco, seccava e si incollava sulla pelle.

Dalí scrisse: “Mi rovescio del caffè sulla camicia […] oltre alla voluttà ineffabile che mi procura quel liquido con il suo lento gocciolare fino all’ombelico, il suo progressivo seccarsi e poi l’incollarsi del tessuto alla pelle mi offrivano la possibilità di periodiche persistenti constatazioni”.

Nella scultura “Venere Spaziale” l’orologio si adagia sul collo della dea della bellezza ed appare come una goccia di caffelatte che scende verso il centro del petto, centro che Dalí definì: “proprio là dove localizzavo la potenzialità della mia fede religiosa”.

Le formiche…

avanzano sull’addome portando nella scultura i simboli del decadimento e della decomposizione. Durante la sua infanzia, Dalí aveva osservato con attenzione questi insetti, provando sentimenti bivalenti di attrazione e repulsione. La presenza delle formiche nelle opere di Dalí simboleggia la vita umana nella sua valenza temporale, transitoria e mortale.

Le formiche per Dalí provocano l’inconscio con il loro prurito, accendono elucubrazioni, invitano a meditare. Esse si posano sulla mano, come appare nella famosa scena del film “Un chien andalou” (1929), e sul ventre della scultura “Venere Spaziale”.

In perfetta opposizione vi erano le mosche, per Dalí “le fate del Mediterraneo”, da lui tanto amate ed elogiate come risulta chiaramente nei suoi testi: “Fra tutti i piaceri iper-sibaritici della mia vita, uno dei più acuti e solleticanti è forse (e anche senza forse) e sarà quello di restare al sole coperto di mosche. Così potrò dire: Lasciate che le piccole mosche vengano a me!”

La simbologia della formica, così come quella dell’orologio, deriva dal vissuto daliniano, ampiamente descritto della sua autobiografia, dove l’artista racconta nel dettaglio il corpo di volatili vivi ed agonizzanti, brulicanti di formiche impazzite, macchie nere che si muovono con un particolare ordine.

Le formiche per Dalí sono l’immagine del suo primo “falso ricordo d’infanzia”. Dalí disse: “La differenza tra i ricordi veri e quelli falsi è esattamente la stessa che si può riscontrare tra i gioielli: sono sempre i falsi ad avere un’aria autentica e preziosa”. Durante la sua infanzia, nel guardare il corpo di un neonato supino, Dalí vide con la sua immaginazione una massa brulicante di formiche ma, non appena la creatura venne presa tra le braccia, la massa scura ed informe scomparve senza lasciare traccia di ferite. Dalí scrisse: “Poi il piccolo essere fu risollevato e la mia ansia di rivedere le formiche divenne enorme, ma con mio profondo stupore mi accorsi che erano scomparse, senza lasciare traccia di ferite. Questo ricordo è chiarissimo, anche se non so situarlo nel tempo”.

Numerose sono le opere pittoriche che riportano in chiave artistica il simbolo daliniano della formica; ne sono un esempio “Il miele è più dolce del sangue” (1927), “Ritratto di Paul Eluard” (1929), “L’enigma del desiderio – mia madre” (1929).

L’uovo…

è uno dei simboli preferiti da Dalí, per la sua dualità tra la parte esterna dura e quella interna molle. La scultura “Venere Spaziale” è divisa in due parti e sulla base, creata dal taglio, vi è un uovo. Metafora con valenza positiva, l’uovo simboleggia la vita, il rinnovamento, la continuazione dell’esistenza ed il futuro.

Il soggetto “uovo”, simbolo della perfezione divina, ha acquisito un ruolo importante in tutta la storia dell’arte, dalle pitture rinascimentali fino alle illustrazioni contemporanee. Il pittore italiano Piero della Francesca, per Dalí “trionfo della monarchia assoluta e della castità” nel 1472 rappresentò un uovo di struzzo sospeso sopra il capo della Vergine Maria, realizzando l’opera pittorica nota con il nome “Pala di Brera”.

L’artista spagnolo Joan Mirò, che aveva notato gli innegabili doni di Dalì ancor prima della loro maturazione (tanto da scrivere al padre “Sono assolutamente certo che l’avvenire di suo figlio sarà radioso!”) nel 1969 appoggiò un uovo giallo sulla seduta rotonda di uno sgabello, creando la scultura “Monsieur ed Madame”.

Dalí ha fatto dell’uovo una vera e propria icona artistica: era letteralmente ossessionato dalle uova a tal punto di mostrarle in molteplici opere e farle diventare parte attiva della sua vita condivisa con Gala. “Fammi un uovo” chiedeva Dalí a Gala nei giorni in cui “soltanto un uovo alla coque con fette biscottate” poteva agire sul metodo paranoico critico, come riporta la sua autobiografia: “aggiungere l’albumina necessaria allo schiudersi di tutte le uova invisibili e immaginarie che ho portato l’intero pomeriggio sopra alla mia testa, uova molto simili a quello della perfezione euclidea che Piero della Francesca ha sospeso sopra alla testa della Vergine”.  Per Dalí l’uovo era la Spada di Damocle a cui soltanto i ruggiti del piccolo leone infinitamente tenero (Gala) impedivano di abbattersi all’improvviso sulla sua testa.

La scomposizione del corpo…

in due parti appare come un taglio orizzontale. Se nella sceneggiatura del film “Un chien andalou” Dalí decise di illustrare l’emblematica scena del taglio dell’occhio in due, con un’inquadratura ad oggi conosciuta come tra le più terrificanti della storia della cinematografia; in questa scultura l’artista catalano, dopo aver invitato l’osservatore a fissare lo sguardo sull’orologio liquefatto e sulle formiche che grattano, squarcia il ventre della dea della bellezza ed invita lo spettatore ad osservare il suo interno, dove viene mostrato un uovo in perfetto equilibrio.

Dalí disse: “ L’unica differenza tra la Grecia immortale e la nostra epoca era Sigmund Freud” il quale aveva scoperto che il corpo umano contiene “infiniti cassetti segreti che possono essere aperti soltanto con l’aiuto della psicoanalisi”. L’artista catalano ha illustrato perfettamente questo concetto freudiano nella scultura “Donna in Fiamme”: i cassetti presenti sul corpo della donna nascondono i segreti, i sogni e le ossessioni nate dal suo inconscio. Il tema della “donna con i cassetti” ricorre con frequenza nella produzione artistica di Dalí, presentandosi nelle sue innumerevoli varianti formali e simboliche.

Se nell’opera in bronzo “Donna in fiamme” i cassetti segreti sono semichiusi e non lasciano celare all’osservatore il loro contenuto, nella scultura “Venere Spaziale” non viene mostrato il cassetto bensì il suo contenuto segreto. Non vi sono pomelli in bronzo o rivestiti in pelliccia, nessun frontalino semiaperto o aperto, dal quale scivola un tessuto di colore rosso vivo. Nella “Venere Spaziale” Dalí decise di rappresentare il contenuto anziché il contenitore, l’interno del cassetto con alla base un uovo in bronzo.

Negli ultimi 30 anni, le sculture monumentali della Collezione  Dalí Universe sono state esposte nelle più importanti città del mondo tra le quali Roma, Londra, Pechino, Singapore, Sydney e Hong Kong. La versione monumentale della scultura “Venere Spaziale”, con altezza di quasi quattro metri, è stata esibita per la prima volta nel 1994 presso l’Opernplatz, la piazza centrale della città di Francoforte, (Germania). Lo scorso anno 2018, il Museo Erarta dell’Arte Contemporanea di St. Pietroburgo esibì l’opera scultorea all’interno della sua struttura, in occasione della mostra “Salvador Dalí Sculptures”.

Il prossimo sabato 18 maggio la scultura monumentale “Venere Spaziale” verrà presentata al pubblico in Canada, nella città di Vancouver, grazie alla collaborazione tra il Dalí Universe e la società “Art in the City”, nell’ambito del progetto “Definitely Dali”. Tale progetto ha permesso di creare un accesso gratuito alle opere d’arte e di coinvolgere e sensibilizzare un pubblico sempre maggiore verso il mondo dell’arte, attraverso l’espozione di opere di fama mondiale nelle aree urbane delle città del mondo.

Gli elementi simbolici daliniani presenti nella scultura “Venere Spaziale” confermano la straordinaria capacità di Dalí nell’elaborare le emozioni, vissute durante il periodo della sua infanzia ed insieme a Gala, per trasferirle nell’arte pittorica e scultorea. Dalí affermo: “Il mio lavoro è il riflesso, uno degli innumerevoli riflessi di ciò che realizzo, scrivo, penso”.

Fonti:

Diario di un genio, Salvador Dalí, 1963

La mia vita segreta, Salvador Dalí, 1942

Dada e Surrealismo Dal Nulla al Sogno, a cura di Marco Vallora, 2018

Catalogue Raisonné of Salvador Dalí Paintings (https://www.salvador-dali.org)