L’immagine dell’“Elefante Spaziale” compare per la prima volta in un quadro di Dalí del 1946 dal titolo “La tentazione di S.Antonio”.
La lettura di quest’opera risulta ancora più interessante in quanto si tratta di un dipinto realizzato da Dalí per la partecipazione al suo primo ed unico concorso, avente per tema la “Tentazione di Sant’Antonio”.
Il concorso, gestito dalla “Loew Lewin Company”, un’azienda produttrice di film americani, era stato indetto per la realizzazione di una scena del film tratto dal romanzo “Bel Ami” di Guy de Maupassant.
Alla selezione pateciparono dodici pittori, tra cui Leonora Carrington, Salvador Dalí, Paul Delvaux, Max Ernst e Dorothea Tanning. Anche se il concorso fu vinto da Max Ernst, sulla valutazione di una giuria composta da Alfred Barr, Marcel Duchamp e Sidney Janis, indubbiamente l’opera presentata da Dalí fu un vero capolavoro.
In questo lavoro Dalí si è ampiamente servito del simbolismo. Nel deserto, alcuni elefanti portano sulla schiena diversi elementi simbolici; tra questi vi è un obelisco, segno di potere e dominio e, per Dalí, una delle tentazioni a cui Sant’Antonio non sarebbe stato immune.
Dalí ha dipinto le tentazioni terrene rappresentandole come una processione di enormi pachidermi, guidata da un cavallo che s’impenna, simbolo fallico del potere. I quattro elefanti, ritratti con zampe sottili e fragili, quasi invisibili, rappresentano gli spiriti maligni, che provocano il santo eremita con visioni lussuriose, erotiche e demoniache, offrendo bellezza, arte, potere e piacere.
Quest’opera è stata dipinta a New York, in uno studio che l’artista ha occupato per qualche giorno, situato accanto al ristorante “Colony” di New York.
Il periodo di transizione che vive Dalí negli anni ’40, quando diede inizio a nuove ricerche esistenziali ed artistiche, attraverso il misticismo nucleare riletto in chiave paranoico-critica, ed alle tematiche spaziali e gravitazionali, si riflette in questo capolavoro artistico ove l’immagine dell’elefante diviene parte delle principali tematiche presenti in molte opere dell’artista.
Ne sono un esempio le opere “Idillio Atomico e uranico melanconico” (1945) ed il “Trionfo di Dioniso” (1953).
Nella scultura in bronzo l’“Elefante Spaziale” ideata nel 1980, l’elefante rappresenta la distorsione dello spazio, una realtà allungata ove le gambe esili si deformano, si allungano ed entrano in una nuova dimensione che collega cielo e terra. Probabilmente Dalí desiderava contrastare l’assenza del peso gravitazionale con la struttura. Sulla schiena dell’“Elefante Spaziale” sorge un obelisco, simbolo della presenza del progresso tecnologico del mondo moderno e chiara citazione della scultura di Gian Lorenzo Bernini in piazza della Minerva a Roma.
La scultura “Elefante del Trionfo” ideata nel 1975, presenta invece sulla schiena una sella imbottita in oro, sulla quale si appoggia, con grazia ed eleganza, un angelo dorato, simbolo di ricchezza, prestigio e rinnovamento.
Lo stesso Dalí ricevette un elefante vero nel 1967, quando la Compagnia aerea Air India commissionò all’artista la creazione di un oggetto, quale ricordo in edizione limitata, da consegnare ad un gruppo selezionato dei passeggeri della prima classe. In tale occasione Dalí realizzò un piccolo posacenere in porcellana e, come pagamento per il suo progetto di design, chiese un elefantino che venne trasportato in aereo da Bangalore a Ginevra.